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Madame Guitar 2013 – Dai Sonohra a Clive Carroll passando per Ralph Towner

Al momento dei saluti, alla fine del festival, mi sono sorpreso a dire al gentile Marco Miconi, direttore artistico della manifestazione: «Questa è stata la migliore edizione della storia di Madame Guitar!» Certo, a mente più fredda, potrebbe apparire un po’ azzardato aver emesso un giudizio del genere, dopo otto anni di vita della rassegna e non so quante decine di artisti che si sono avvicendati tra i concerti serali al Teatro Garzoni e le esibizioni nel centro di Tricesimo. Ma è certo anche che alcuni momenti dei concerti serali di quest’anno hanno raggiunto delle vette entusiasmanti. Ed è inevitabilmente sullo svolgimento di questi concerti molto generosi, della durata media di tre ore e mezzo ciascuno, che vorremmo soprattutto incentrare il racconto della ottava edizione di Madame Guitar, che dal 19 al 22 settembre ha celebrato l’ultimo atto di questa stagione dei festival di chitarra acustica.

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Giovedì
«Di questi tempi è un po’ una pazzia» ci ha raccontato Marco Miconi «aggiungere serate a un weekend già ricco di oltre venti set in tre giorni». Eppure a Tricesimo si è voluto fare musica anche il giovedì, pur di non perdere l’occasione-sfida di portare i Sonohra a Madame Guitar. ‘Occasione’, perché quest’anno la band veronese ha intrapreso per la prima volta un tour acustico in trio (Luca e Diego Fainello, voci e chitarre acustiche, con Luciano ‘Sem’ Santoro al basso) di cui Tricesimo è stata l’ultima delle ventisei date prima della rimpatriata finale nel veronese a San Bonifacio; ‘sfida’, perché l’opinione diffusa che la band fosse un ‘prodotto sanremese’ serpeggiava fra i ‘puristi’ della chitarra acustica. Sfida vinta da Miconi e soci, perché non solo la serata ha attirato un pubblico di giovani (spesso con mamma al seguito) che probabilmente mai si sarebbero avvicinati a un festival di chitarra acustica, ma soprattutto perché i fratelli Fainello con la chitarra acustica ci sanno veramente fare! È stato infatti un concerto bello e apprezzato, che da un lato ha spaziato fra i successi della band come “Let Go” e “I Love You”, i quali hanno ‘retto’ la versione acustica con interessanti e nuove sfumature, dall’altro ha fatto rivivere ai musicisti la lunga gavetta nei locali del Veneto, riproponendo i propri guitar hero di allora, da Bon Jovi ai Dire Straits, dal sempreverde Clapton a Chris Isaak. Ma se è immaginabile una cover di un blues ‘sbregamudande’, citando la frase semidialettale simpaticamente coniata da Luca Fainello, come “Before You Accuse Me”, scritta da J.J. Cale ma resa famosissima da ‘slowhand’ Clapton e reinterpretata con grande tecnica da Diego Fainello, è stato sorprendente e splendido ascoltare i giovani veronesi affondare i loro suoni nel Delta Blues modello «I woke up this morning…» eseguito su una chitarra a scatola stile Bo Diddley. Decisamente bravi e molto disponibili alla fine per l’interminabile richiesta di foto e autografi.
Ha aperto la serata il giovanissimo chitarrista triestino Emanuele Grafitti, classe 1992: formatosi in conservatorio e con un orientamento jazzistico, ha vinto già nel 2009 il premio “Franco Russo” nell’ambito di TriesteLovesJazz e, l’anno seguente, il concorso “Porsche Live – Giovani e Jazz” con il duo AlfaOmega insieme al trombettista Daniele Raimondi, con cui ha inciso l’album Travellin’. L’anno scorso è stato folgorato  proprio qui, sulla via di Madame Guitar, dall’esibizione di Andrea Valeri e dalla sua scelta di proporre un repertorio composto interamente di brani originali. Così in quattro e quattr’otto si è presentato quest’anno con Life Colours, suo primo disco solista in veste di chitarrista acustico fingerstyle, aperto alle nuove tecniche percussive e a due mani. Benvenuti siano il suo ardore e la sua impazienza giovanili, poiché le premesse sono molto buone, il talento e la preparazione sono indiscutibili. Ma quello che secondo me attende ora Emanuele, se vuole mantenere le promesse, è un rallentamento di ritmo, un lavoro più paziente di vaglio e selezione delle proprie idee, per metabolizzare più a fondo il linguaggio del fingerstyle solistico e soprattutto sviluppare una cifra compositiva più personale e riconoscibile.

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Venerdì
Il Friuli deve essere un terreno fertile per le brave cantautrici in duo con bravi chitarristi acustici. Perché dopo i Deja di Serena Finatti e Andrea Varnier, che hanno onorato la loro terra qui nell’edizione 2011 di Madame Guitar, quest’anno è stata la volta di Elsa Martin & Marco Bianchi. I Deja  e il duo di Elsa e Marco sono diversi – Serena è più ‘contemporanea’, Elsa più ‘classica’ fra tradizione e innovazione, Andrea è un esponente del fingerstyle moderno, Marco suona sulle corde di nylon con accenti più jazzistici e usa i loop – ma le due coppie sono accomunate dalla stessa grande professionalità, classe e garbo. Con la collaborazione di Marco, Elsa ha realizzato l’anno scorso il bellissimo album vERsO, che ha meritato una serie di riconoscimenti importanti: finalista alle Targhe Tenco 2012 nella categoria “Opera prima”; vittoria assoluta, oltre che premio della critica e per la migliore musica, al Premio Parodi 2012; terzo classificato al Premio nazionale “Città di Loano” 2013; e menzione speciale come migliore interpretazione al Premio Bindi 2013. Niente male per un disco d’esordio, di cui sono stati presentati alcuni brani qui al Teatro Garzoni, tra rielaborazioni di canti tradizionali friulani e canzoni originali in friulano e italiano, accanto a un omaggio sentito al repertorio di Andrea Parodi. Un’esibizione incantevole e un progetto da far conoscere.
È seguìto Francesco Buzzurro, che ha svolto in questa edizione un ruolo di testimonial del festival, tenendo nel pomeriggio un seminario per le scuole medie di Udine e, nella mattina dopo il concerto, per le scuole medie di Tricesimo. Del resto Buzzurro, grazie alla sua straordinaria tecnica di matrice classica, aperta a una conoscenza profonda del jazz e dell’improvvisazione, è diventato negli anni un punto di riferimento assoluto per il nostro mondo della chitarra acustica. Nel suo lungo set serale, è stato bello vederlo spaziare tra i diversi momenti del suo cammino artistico: accanto ai suoi proverbiali arrangiamenti trascendentali di brani sempreverdi e molto noti al grande pubblico, che solitamente accendono gli animi della platea, come “Granada” o “Hava nagila” tratti in particolare dall’album L’esploratore del 2009, abbiamo potuto ascoltare sue composizioni originali provenienti da dischi precedenti, come “Onde”, “Cuore degli emigranti” o “Song for Django”, che rivelano anche aspetti più intimi ed emozionanti della sua personalità. Nei pezzi contenuti nel suo ultimo CD One Man Band, pubblicato alla fine del 2012 per la Acoustic Music Records di Peter Finger, si realizza poi una felice sintesi tra la ‘popolarità’ dei brani e la loro profondità musicale, com’è il caso di “I Got Rhythm di Gershwin, della versione strumentale di una canzone di Vinicius de Moraes e Tom Jobim, “Chega de saudade”, e “Manhã de Carnaval” di Luiz Bonfá che – secondo una recente scoperta dello stesso Buzzurro – sarebbe in realtà di origini siciliane e si chiamerebbe Luigi Bonfanteci.
Agli aspetti più impetuosamente virtuosistici di Buzzurro ha fatto poi da perfetto contraltare Ed Gerhard. Era questo l’ultimo concerto di un suo breve tour italiano, dopo quattro anni di assenza dal nostro paese. Con sé portava un album nuovo, There and Gone del 2012, ma la sua musica appare sempre quella che abbiamo imparato a conoscere e ad amare: una musica che cambia nei suoi contorni esteriori, ma che resta sempre uguale a se stessa nello spirito, rigorosamente coerente con i suoi presupposti. In questa musica Gerhard non concede mai nulla, per così dire, alla ‘platea’, non spinge mai l’accelleratore sulla spettacolarità della tecnica. Semplicemente si concentra sulla bellezza del suono, sulla cura con cui è trattata ogni nota, sulla fluidità e armonia di ogni passaggio, sulle  emozioni che la musica trasmette. E in questo modo cattura il pubblico, più lentamente e discretamente, ma inesorabilmente.
Una caratteristica peculiare del festival chitarristico di Marco Miconi, forte della sua esperienza ultraventennale con il Folkclub Buttrio, sono le sue sapienti aperture verso il vasto campo delle musiche del mondo. La serata è stata così conclusa dai Mostar Sevdah Reunion, un settetto proveniente dalla Bosnia-Erzegovina e composto da tre cantanti e chitarristi acustici con violino, piano, basso e batteria. Il gruppo prende le mosse dalla comune passione per il sevdah, una forma musicale tradizionale che viene fatta risalire alla lontana penetrazione dei turchi in Bosnia in epoca medievale. La parola sevdah, come spesso avviene nelle tradizioni popolari del mondo, rinvia a uno stato d’animo complesso, fatto da una parte di amore, desiderio ed estasi, dall’altra governato da una sorta di ‘fluido bilioso’ che orienta sentimenti ed emozioni: una risposta balcanica, potremmo dire, al blues, al fado, alla saudade. In questo modo, la forte ed evidente presenza di accenti turchi ed orientali, filtrata da una formazione strumentale di moderno folk-rock, si traduce in una miscela veramente nuova, che porta con sé gli elementi swing e jazz del cosidetto gipsy soul: una fusione piena di fascino, che ha emozionato, incuriosito e tenuta desta fino alla fine l’attenzione del pubblico.

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Sabato
Buona parte del concerto del sabato è stato occupato da un progetto nato in qualche modo intorno alla figura del liutaio Aldo Illotta, da sempre espositore a Madame Guitar con le sue Italian Guitars. Italian Guitars Trio è infatti il nome del gruppo formato da Maurizio Brunod, Nicola Cattaneo e Franco Cortellessa, tutti utilizzatori di chitarre costruite da Illotta, la cui sensibilità non ha mancato di intuire le affinità tra i suoi tre ‘clienti’ e sollecitarne l’unione artistica. I tre risalgono tutti a un retroterra musicale principalmente jazzistica, legato comunque a forme di jazz contemporaneo, europeo, aperto al dialogo e alla sintesi tra culture musicali di varia provenienza. Brunod e Cattaneo suonano chitarra classica e acustica, alle quali Brunod aggiunge anche una chitarra elettrica costruita fra l’altro da Mirko Borghino, amico e collaboratore di Illotta in diverse situazioni; Cortellessa suona invece chitarre a sette corde classica e acustica, e chitarra baritona, garantendo all’insieme una fondamentale apertura e completezza della tessitura musicale. Il risultato è un amalgama sonoro molto gradevole, condito da composizioni originali progettualmente destinate ad essere ascoltate da tutti.
Al progetto discografico dell’Italian Guitars Trio ha preso parte anche un padre putativo delle direzioni musicali intraprese dai tre musicisti italiani, Ralph Towner, che ha suonato in tre brani dell’album, affrontando con misura e diligenza l’arduo compito di suonare a quattro chitarre. Questa collaborazione ha creato un’occasione propizia per riuscire ad averlo a Madame Guitar, un’occasione veramente preziosa: insieme a John Renbourn, infatti, Towner rappresenta uno degli ospiti più prestigiosi che il festival di Tricesimo abbia potuto offrire nella sua storia. E Towner, dopo aver suonato un paio di pezzi insieme al trio, ha onorato l’impegno producendosi da solo in un set particolarmente nutrito e apprezzato: ho avuto l’opportunità di ascoltarlo diverse volte in veste solistica, ma questa mi è parsa una delle sue esibizioni migliori, se non la migliore che mi sia capitato di vedere. Malgrado la non più tenera età, si è mostrato in una forma invidiabile.
La seconda parte della serata è stata dedicata nuovamente a un’apertura verso le musiche del mondo, restando ancora nei Balcani ma trasferendosi in Grecia con i Sirtos, un quintetto che potremmo definire di folk-pop revival. Tuttavia la parola ‘revival’ rischia di apparire impropria in questo contesto, perché la musica popolare ellenica, attraverso le danze, la musica rebetika e il bouzouki, rappresenta ancora oggi una realtà viva nel paese. E il gruppo ruota intorno proprio ad Andreas Lehoudis, un grandissimo virtuoso di bouzouki, sia nella sua forma più tradizionale a tre corde doppie, accordate Re La Re’, sia nella sua forma più recente a quattro corde doppie, accordate un tono sotto le prime corde della chitarra. Gli altri membri della formazione comprendono poi Katalin Juhász al violino e al baglama, simile a un piccolo bouzouki a tre cori, Etelka Pallai alla fisarmonica, alla tastiera e al flauto, Zsuzsanna Bacsay al basso e Péter Pászti, percussionista, primo cantante con una voce bellissima e molto popolare, e soprattutto maestro di danza! Il loro repertorio spazia dalle musiche più tradizionali alle composizioni di autori contemporanei come il notissimo Mikis Theodorakis. E quando sono partite le prime note del “Sirtaki” di Theodorakis, meglio conosciuto come “Danza di Zorba”, un brivido di commozione si è insinuato tra il pubblico. Una commozione che è cresciuta, mista a un trasporto di allegria, quando Pászti è sceso in platea e ha coinvolto e trascinato i meno timidi in un lungo ‘trenino’ al ritmo del sirtaki, in uno struggente confronto tra l’incrollabile gioia di vivere del personaggio Zorba, tra l’energia vitale dell’intero popolo greco, tra la grande cultura della Grecia, e la miseria della sua condizione presente. Una commozione, un trasporto e un trascinamento che sono proseguiti  anche l’indomani mattina sulla piazza affollata di Tricesimo.

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Domenica
Il Duo Cardozo aveva già partecipato a Madame Guitar nel 2009 con una brillante esibizione, ricca di riproposte ottimamente arrangiate ed eseguite di tanghi, milonghe e vals argentini. Quest’anno però i due fratelli Pablo e Mauro hanno un po’ disatteso le aspettative con un set al di sotto delle proprie possibilità e privo di mordente. Forse la stanchezza di una lunga tournée. Hanno inoltre affiancato il proprio repertorio noto di pezzi strumentali con alcuni brani cantati, che non sono parsi nelle loro corde e nelle loro qualità migliori. Speriamo di ritrovarli presto in una performance all’altezza di tutto il valore che riconosciamo loro.
Questa partenza sottotono del concerto della domenica è stata subito ribaltata dalla straripante personalità di Kent DuChaine, bluesman bianco originario del Minnesota ai confini del Canada e trapiantato nel sud della Georgia. La sua prima grande occasione avvenne nel 1970, all’età di diciannove anni, quando ebbe la fortuna di aprire un concerto del suo eroe Bukka White, leggendario protagonista del primo blues del Delta. Poco dopo, con la sua band di blues urbano, fu notato da Willie Dixon, musicista, produttore e figura centrale del Chicago Blues, che gli permise di aprire i concerti di Albert Collins, John Lee Hooker, Howlin’ Wolf. Nel ’79 entra in possesso di ‘Leadbessie’, una National resofonica del ’34 dalla quale non si separerà mai più. Dieci anni dopo conosce Johnny Shines, storico compagno di viaggio di Robert Johnson tra il ’35 e il ’37, e inizia a collaborare con lui fino alla morte di questi nel 1992. Da allora decide definitivamente di proseguire la sua carriera da solo, come un vero bluesman. Il suo stile è ancora oggi fedele alla lezione fondamentale di Bukka White e Son House, uno stile ‘feroce’ di chitarra slide e percussiva, caratterizzata da energici ‘schiaffi’ sulla tavola dello strumento. Uno stile trascinante di per sé, che DuChaine sa porgere per di più con una assoluta dedizione e generosità nei confronti del pubblico, con un calore umano, una gentilezza, un entusiamo, un’intensità e un’energia che hanno definitivamente conquistato la platea del Teatro Garzoni.
Pensavamo di aver raggiunto un apice di gradimento, ma non siamo andati incontro a nessuna diminuzione della tensione. Il set successivo è stato se possibile altrettanto entusiasmante, in una dimensione di arte pura: Custódio Castelo alla guitarra portuguesa, strumento derivato dall’antico cittern inglese e dotato di sei coppie di corde accordate generalmente Re La Si Mi La Si (con le tre corde più basse doppiate all’ottava alta e le tre più basse doppiate all’unisono), che di solito accompagna i cantanti di fado insieme alla chitarra, chiamata violão in portoghese. Nel corso degli anni Castelo ha avuto l’occasione di accompagnare la sua beniamina Amália Rodrigues, negli ultimi concerti di quest’ultima negli Stati Uniti, e Carlos do Carmo, Mariza, Misia, Cristina Branco, la nuova stella Ana Moura e persino Placido Domingo. Nel 2010 ha ricevuto il Premio ‘Amália Rodrigues’ come miglior strumentista di fado. Parallelamente si è andato sempre più affermando, in particolare dopo la morte del grande solista Carlos Paredes, tra i migliori compositori e virtuosi di musica strumentale per guitarra portuguesa. Il repertorio presentato in veste solistica a Tricesimo, che ritroviamo nel suo recente album InVentus eseguito con il proprio trio e altri ospiti, ha letteralmente incantato il pubblico di Madame Guitar con la ricchezza e il pathos di una musica che va al di là del fado per accogliere elementi latini e moreschi di più vasti orizzonti.
Dopo due set di tale livello, poteva essere soltanto un musicista del calibro di Clive Carroll a chiudere degnamente la serata. Come abbiamo già avuto modo di scrivere in occasione della sua apparizione all’Acoustic Guitar Meeting di quest’anno a Sarzana, Carroll è oggi da considerare ai massimi vertici della chitarra acustica. Finora, soprattutto dal vivo e come in questa occasione, ha sempre fatto convivere il suo lato per così dire più ‘serio’, rappresentato per esempio da composizioni molto profonde come “Oregon” dal suo ultimo album solista Life in Colour del 2009, con il suo lato più ‘scanzonato’, in cui ama giocare con ironia sul virtuosismo anche plateale, come nell’arrangiamento della “Csárdás” di Vittorio Monti. Personalmente, credo che in questa fase sarebbe per lui più fecondo definirsi con più chiarezza nella direzione del compositore ‘colto’. Ora, le due anticipazioni che ci ha presentato del suo prossimo album in preparazione – un’articolata suite rinascimentale destinata a essere incisa in coppia con John Renbourn, che Carroll ha suonato su una base preregistrata con la parte di Renbourn in persona, e una bellissima trascrizione di “Uma prece” di Luiz Bonfá – sono sembrate andare proprio nel senso auspicato. Confermando la grande crescita del chitarrista britannico.
Per celebrare il finale del concerto e di tutta la manifestazione, sono infine saliti sul palco gli artisti ancora presenti a Tricesimo per la tradizionale esecuzione dell’inno del festival, “Madame Guitar” di Sergio Endrigo. A cantarla con notevole grazia è stata quest’anno Elsa Martin, sull’arrangiamento a due chitarre diligentemente preparato da Clive Clarroll e Marco Bianchi, supportati a loro volta dai fratelli Cardozo, Emanuele Grafitti, Kent Duchaine.

La piazza
Nelle giornate di venerdì e sabato la centrale Piazza Garibaldi di Tricesimo è stata a sua volta animata da una serie di piacevoli concerti allietati dal bel tempo. Tra i quali ricordiamo in particolare lo Swing Duo della cantante Anita Camarella e del chitarrista Davide Facchini, con il loro prezioso recupero del repertorio di canzoni dello swing italiano, da “Maramao perché sei morto” a “Baciami piccina”; e Giacomo Lariccia, che attendiamo al suo secondo disco dedicato ai temi dell’emigrazione passata e presente, italiana e non solo, anche lui finalista alle Targhe Tenco 2012 come Elsa Martin. Interessante anche la proposta di Chitare Dispetinade, duo di chitarre acustiche composto da Luigi Schepis e Matteo Brenci, che hanno presentato una serie di arrangiamenti strumentali di canzoni triestine popolari e d’autore, soprattutto di fine Ottocento. Paolo Mari si è fatto poi apprezzare con il suo repertorio ispirato alla chitarra brasiliana, cui ha dedicato anche un seminario condotto con la sua consueta bravura di didatta. Mentre l’onnipresente Ukulollo ha portato anche qui il verbo dell’ukulele e di tutto quello che si può suonare con questo piccolo strumento. Tra gli esponenti del ‘chitarrismo virtuoso’, segnaliamo Jimmy Robinson originario di New Orleans, ricco di idee e fantasia, in pericoloso equilibrio tra psichedelia e funambolismo tecnico. Quindi gli Aritmija dalla Slovenia, duo di rock acustico con intriganti incursioni tra ritmi balcanici e flamenco. E lo svizzero Attila Vural, con una chitarra sulla cui tavola ha montato una sorta di güiro metallico per espandere le sue potenzialità percussive. Più articolato infine il progetto degli Oka Vanga, duo chitarristico formato da Angela Meyer di origini sudafricane e dall’inglese William Cox, in un tentativo di intrecciare in trame fingerstyle le loro varie esperienze.
Tra un set e l’altro, l’intrattenimento in piazza è mantenuto sempre vivo dalle visite alle diverse esposizioni: la mostra di dischi e video da collezione; la mostra di fotografia di Roberto Aquari, di cui  abbiamo già ammirato su Chitarra Acustica le immagini scattate in diverse edizioni della rassegna Un Paese a Sei Corde sul Lago d’Orta. E in particolare la mostra di liuteria, alla quale hanno partecipato quest’anno Mirko Borghino, Paolo Coriani, Maurizio Cuzzolin, Achille De Lorenzi, Aldo Illotta, Carlos Michelutti, Ermanno Pasqualato di Herrmann Guitars, Erich Perrotta di Ran de Gal, Giuseppe Riccobono e Steve Tommasi, costruttore dei plettri Essetipicks. Il tutto per offrire un prezioso contorno al cartellone principale dei concerti serali, e un’occasione di anno in anno per incontri, scambi e nuove conoscenze.

Andrea Carpi

PUBBLICATO
Chitarra Acustica, 11/2013

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