(di Gabriele Longo) – E’ appena uscito Jazz made in Italy, un disco pensato, desiderato, coccolato, amato prima ancora di essere pubblicato, proprio come succede per un figlio che cresce giorno per giorno nel grembo della madre e già lo si ama incondizionatamente.
Fabio Mariani, chitarrista, didatta, arrangiatore, insieme con Giorgio Rosciglione, contrabbassista e arrangiatore anch’egli – due colossi del jazz italiano – hanno realizzato un disco godibile e raffinato basato su grandi canzoni italiane riarrangiate in chiave jazzistica, ma con l’ausilio di un metodo artigianale che lo colloca tra i grandi dischi pop della discografia italiana.
Il progetto è stato fatto proprio anche da Tiziana De Carolis alla voce e da Luca Ingletti alla batteria che, insieme con i due leader, hanno completato la band di base. Il repertorio di 13 canzoni presenti nel CD pesca in un canzoniere formidabile di autori che vanno da Modugno a Tenco, da Piero Piccioni a Bruno Martino, da Natalino Otto a Carlo Alberto Rossi passando per Armando Trovajoli.
La presenza come guest star di Renzo Arbore che canta una godibilissima canzone swingante di Natalino Otto – “Ritmo, senti che ritmo” – non fa che confermare la bontà del progetto, la sua alta qualità artistica e quel tanto di simpaticamente scanzonato che traspare dal disco.
La chiacchierata che segue farà entrare l’appassionato di jazz ma anche della grande melodia italiana senza tempo, nel dietro le quinte di un bel progetto dove chitarra, passione e buon gusto hanno trovato casa.
Fabio, stavamo parlando del fatto che una chitarra acustica rende il musicista più ‘nudo’ rispetto…
All’elettrica, con i suoi effetti, le sue pedaliere, tutte maschere, in qualche maniera. Con questo non voglio contestare chi ne fa un uso importante, perché quelle sono scelte stilistiche, ma personalmente ritengo che con gli strumenti acustici… c’è poco da scherza’: se sai sona’ sai sona’, se non sai sona’ se sente tutto. Anche con l’elettrica si può avvertire questa verità, però diciamo che a un orecchio meno esperto puoi confondere un po’ le idee, sai con distorsori, delay, riverberi eccessivi.
È vero che il suono è nelle dita, come recita un assunto universalmente riconosciuto, però anche un set di effetti molto studiato e quindi personalizzato può caratterizzare quel ‘suono’. Invece, sulla chitarra classica e acustica, sei veramente tu e le tue mani, il tuo cuore…
E le tue capacità, se ci sono. Se non ci sono c’è poco da bluffare. Aldilà di questo, credo che gli strumenti acustici siano anche più dinamici di quelli elettrici. La dinamica che io riesco a tirare fuori dalle chitarre acustiche non riesco a tirarla fuori con l’elettrica. Per far ciò, devo fare uso di pedali. L’escursione dinamica e il range pianissimo/fortissimo sono molto più ridotti nell’elettrica che non negli strumenti acustici, almeno tra le mie mani.
Ciò che dici mi sembra di avvertirlo in un brano del tuo CD Jazz made in Italy. C’è il tema esposto con l’acustica che poi continua a suonare improvvisando per un certo numero di battute, per poi passare la palla all’elettrica. Ecco, è vero che probabilmente hai voluto creare un cambio di sonorità e di linguaggio, ma personalmente ho sentito maggiormente il cuore e il feeling quando hai suonato l’acustica.
Il pezzo è “Bellezze in bicicletta”?
Sì, sì, quando verso la metà del brano entra l’elettrica.
Sai, in questo pezzo in particolare il chorus su cui improvviso con l’acustica è un turn around tipo lo standard “I’ve Got A Rhythm” di Gershwin, mentre il seguito del pezzo è concepito in otto, tutto bebop, per cui là l’elettrica ci stava tutta [mentre spiega manda in ascolto il pezzo registrato, ndr.].
Hai ascoltato il pezzo cantato da Renzo Arbore?
Sì, “Che ritmo”. L’ho trovato molto divertente e cantato con la solita simpatica vena scanzonata di Arbore. Nella sua versione originale era cantato da Natalino Otto, grande appassionato di swing. Renzo se l’è cavata egregiamente in un pezzo che ha dei passaggi melodici per niente facili.
No, no, infatti. Poi lui nel giorno in cui è venuto a registrare era all’inizio di un’influenza che l’ha messo veramente a terra nei giorni successivi. Questo per dire che nonostante le sue già precarie condizioni di salute in quel pezzo se l’è cavata alla grandissima! E che ne dici della mia performance da cantante?
Devo dire che mi hai sorpreso positivamente, hai questa voce profonda, timbrata [si sta parlando di “Mi sono innamorato di te” di Luigi Tenco, ndr.]. Mi è sembrata divertente la formula alla ‘Alberto Lupo’, con te che domandi e lei, Tiziana De Carolis, che risponde.
E’ stato un gioco. Avevo pensato di far fare un duetto a Tiziana con qualcuno, un altro ospite del disco. Avevo pensato a un arrangiamento che prevedeva questo sdoppiamento uomo/donna dove c’è domanda e risposta. Sai, volevo fare qualcosa di diverso dall’originale. Ad un certo punto mi sono detto: “Mo’ ce provo io!”. La voce ce l’ho, e daje, daje e daje… il pezzo è uscito fuori.
E chissà che magari in futuro non utilizzerai anche di più la tua voce!
Ah, sì sì. E’ un meccanismo mentale che è già partito. Sai, quando fai delle cose e scopri che riesci a farle bene, ecco quelle sono pillole di autostima che ti incoraggiano a continuare. Infatti ultimamente un po’ studio, un po’ faccio dei vocalizzi, cerco di prepararmi a poterlo fare.
Hai questo bel timbro di voce…
E’ vero, è un peccato non sfruttarlo. L’ho ‘scoperto’ anch’io, è stata una sorpresa!
Fabio, torniamo a monte. Com’è avvenuta la scelta dei pezzi da includere nel progetto del disco?
E’ stato un lavoro lungo perché è iniziato ad aprile/maggio del 2016. Ho ascoltato molti pezzi, ho cominciato a sceglierli, a scrivere abbozzi di arrangiamenti, a vedere come si potessero manipolare. Pensa che questa che tu hai sentito è una scrematura di 13 pezzi, avendone affrontati in precedenza almeno una trentina, molti dei quali entreranno probabilmente nel prossimo lavoro. Sai, alcuni – pur già suonati dal vivo – non li abbiamo inseriti nel disco per via di una non pertinenza con il suono, essendo presente in tutto il CD una certa coerenza sonora. Che abbiamo raggiunto molto faticosamente, perché i pezzi sono tutti molto diversi e il dare un’uniformità sonora è stato il frutto di una ricerca che ho dovuto fare sull’uso delle chitarre, il linguaggio e il ritmo. Se fai una cosa swing ha un suono, se fai una cosa cantata ne ha un altro. Fare un arrangiamento in stile brasiliano, bossanova o samba che sia, ne ha un altro ancora. E nonostante ciò, il mio obbiettivo era che il mio disco non avesse 13 pezzi con 13 suoni differenti.
Insomma, come dicono le persone colte, che ci fosse una cifra stilistica che accomunasse tutti i pezzi.
Esatto. E penso che ci siamo riusciti, che ci sia un’uniformità. In alcuni pezzi non sono riuscito in questo mio intento, per cui li ho scartati. Questo non è riuscito per pezzi bellissimi di per sé, ma per i quali non è scattata l’idea giusta, come “Meraviglioso” o “Il Mondo”. Il che, non vuol dire che io domani mattina non mi svegli con l’idea giusta di come arrangiarli e non li inserisca nel prossimo disco. La nostra idea, infatti, è quella di realizzare vari CD con pezzi importanti di musica italiana in chiave jazzistica, ma non solo. Qui il discorso si allarga perché per me questo disco è un disco di jazz, ma è anche un disco pop…
Sì, si può dire che sia un po’ al crocevia di vari linguaggi.
Sì, non saprei definirlo. Formalmente, siamo nel catalogo Jazz della Universal.
Beh, giustamente la percentuale di jazz nel disco è molto alta. E poi tu stesso hai una storia che ti colloca in questo ambito.
Certo! Quello che c’è in questo disco non lo senti nei dischi di Mina, con tutto il rispetto. Però, per esempio, siamo riusciti ad essere pop nella durata dei pezzi, che sono tutti di tre/quattro minuti l’uno. Anche con gli assoli strumentali di taglio jazzistico siamo riusciti a contenerci in un minutaggio complessivo di 56 minuti con 14 tracce al suo interno. Personalmente non amo gli assoli troppo lunghi, anche se a farli è Pat Metheny! L’assolo è un momento del pezzo. Invece, nel jazz canonico l’assolo è il pezzo! Il tema viene buttato là perché tanto dopo te faccio vede’ quanto so’ fico! Ed io non trovo che tutto questo faccia bene alla musica. Sai, un disco è un parto, un figlio e allora stai attento a tutto. Io sono stato attento ad ogni singola nota qua dentro. Ci sono pezzi che abbiamo registrato più e più volte, perché magari non mi convinceva il suono di quella certa tonalità che avevamo scelto. Come suonava la chitarra in quella tonalità.
La chitarra ha questo pregio, ma anche questo difetto. E’ un tormento e un’estasi il fatto che certe posizioni sono consone a dare il suono che ricerchi e in altri casi questo obbiettivo ti sfugge.
Esatto, è proprio così. Specialmente se suoni strumenti acustici, per cui se vuoi valorizzare lo strumento le corde a vuoto ci devono stare. La chitarra vibra in un altro modo. In La maggiore, in Mi maggiore, in Do, in Sol, in Re. Queste sono le cinque tonalità in cui la chitarra è regina. Se vai in Si bemolle, per i sassofoni va bene – infatti il jazz è Sib e Mib per i tenori e per i contralti. Con la chitarra è un altro discorso: se stai suonando bebop è tutto per i fraseggi, ma rimane il fatto che in questa tonalità non c’è il suono della chitarra. Il suono della chitarra è con le corde a vuoto. E allora quando mi sono reso conto che c’era qualcosa che non andava nel suono, nelle frequenze, ho registrato nuovamente dei pezzi spostandoli di tonalità e andando a prendere la chitarra di petto. Un esempio: il brano di Piccioni e Alberto Sordi, “Breve Amore”, che all’inizio abbiamo registrato in Do… non mi piaceva, per cui alla fine l’abbiamo spostato in La, una terza minore sotto. L’abbiamo risuonato, riregistrato, cambiando strumenti, prima con l’elettrica, poi con la classica con corde in nylon, dandogli appunto un altro suono. Per cui tutto ciò è stato un lungo parto, compreso il lavoro di riflessione e di riascolto dopo un certo tempo trascorso dalla registrazione definitiva.
Un altro pezzo su cui abbiamo lavorato molto è “Nun è peccato”, il pezzo portato al successo da Peppino Di Capri. All’inizio era in un modo, poi anche lì ho capito che l’introduzione andava fatta in una tonalità più adatta alla chitarra. Il primo tema che io faccio da solo è in Mi, poi quando entra la band passiamo in Fa compreso il solo e l’ultimo tema alzo ancora di un tono e arrivo a Sol. Quindi tre tonalità, prima da solo e poi insieme fino al finale, altrimenti il pezzo risultava statico.
Questo è interessante, perché dà l’occasione di mettere a fuoco la tua figura poliedrica, di produttore di te stesso, di strumentista, di arrangiatore e di fonico, avendo registrato, missato e masterizzato il disco. Penso che tutto ciò richieda del tempo per poter uscire da un ruolo ed entrare nell’altro.
Ah certo, questo prodotto non lo tiri fuori in pochi giorni. E pensa che noi come band avevamo 200 ore di prove alle spalle e 15 concerti d’estate. Abbiamo cominciato a registrare lo scorso 27 agosto con alle spalle un lavoro continuativo di 4/5 mesi. Poi, invece, è maturato nuovamente molto del materiale già rodato nei concerti, perché un conto è suonare dal vivo, dove ogni volta ciò che suoni va bene per quella sera e poi va via, un conto è ciò che registri e che rimane fissato. L’ascolti e qualche volta sei soddisfatto, qualche altra volta rimani perplesso. Il materiale che hai sentito è quello che hai fatto per cui il tuo livello di censura e di autocritica ha delle prove reali… come dicevano i latini verba volant, scripta manent!
In questo senso il lavoro su questo disco è più assimilabile a quello di un disco di musica pop, dove c’è un processo artigianale, di sovrapposizione di tante fasi lavorative e creative insieme, laddove un disco di puro jazz è semplicemente la testimonianza, la fotografia di un’esecuzione dal vivo o giù di lì.
Infatti noi c’abbiamo messo quattro mesi di registrazioni, tutti i giorni. Prima abbiamo registrato la ritmica, poi ho rifatto con calma tutte le chitarre. Ogni tanto richiamavo gli altri musicisti per registrare nuovamente, per esempio, la parte di basso sostituendola con un contrabbasso.
Quando riascoltavo le prime registrazioni mi accorgevo… di annoiarmi!
Poi un giorno, era una domenica mattina, mi sono alzato alle 6,30. Avevo in testa qualcosa che volevo cambiare assolutamente. Sono entrato in sala, ho acceso tutto e ho cominciato a smontare e rimontare “Mi sono innamorato di te”, suonando due chitarre classiche armonizzate che facevano gli arpeggi più un’altra in sottofondo. Quando arriva l’assolo vado in otto con l’elettrica, swingando e doppiando le prime battute con una sorta di ‘vocalese’. Alle 13 di quella domenica avevo fatto tutti i cambiamenti che avevo in testa. Ero soddisfatto. Avevo messo a fuoco il pezzo. Parlando sempre di Tenco, in “Vedrai vedrai” ho usato la mia Takamine acustica che ha reso benissimo quello che volevo a livello di suono e di dinamiche.
Fabio, come hai ripreso il suono delle acustiche?
Tramite il preamplificatore che riceve il segnale dal piezo e poi con due microfoni davanti allo strumento, uno alla buca e l’altro al manico. Il suono viene stereo. Poi nel missaggio prediligo più la cassa o più il manico a seconda delle sonorità che voglio ottenere.
In “Nun è peccato” durante il solo della chitarra con corde in nylon mi pare di aver avvertito anche il suono della tastiera, proprio dei tasti colpiti dalle corde.
Sì, lì ho utilizzato la mia Takamine classica con la quale ho suonato sia l’accompagnamento che l’assolo. Riguardo al suono dei tasti, anzi io dico il rumore, è vero, l’ho esaltato consapevolmente perché mi piace sentirlo, per me fa parte della chitarra. Sai, questa mia versione piace molto anche a Peppino Di Capri stesso a cui l’ho fatta ascoltare. Ovviamente la cosa mi fa molto piacere!
Per la promozione del CD gireremo due video, uno di “Nun è peccato”, l’altro di “Mi sono innamorato di te” utilizzando per questo secondo pezzo due attori che faranno la parte di lui e di lei. Ogni tanto si vedrà me che suono, Tiziana che canta, ma così, come spot. I protagonisti saranno due ragazzi giovani e belli. Farò il regista del video, ho già in mente le immagini che voglio vedere realizzate. Girerò io, monterò io, ho questa passione e mi ci dedico volentieri. Mi piace giocare col multimediale. Del resto curo il mio sito sul web, e mi sono occupato anche della copertina del CD. L’Universal con me ha trovato…
Caspita, è vero. Un’etichetta discografica molto importante. Ci puoi parlare di com’è avvenuto il contatto?
Beh, a conclusione del disco ho contattato tutti, piccole e grandi etichette. Non sapevo chi avrebbe risposto, per cui ho scritto a tappeto. Le piccole non mi hanno mai risposto. Invece le tre multinazionali sì, vale a dire la Sony, la Warner e la Universal. Quest’ultima ha manifestato un grande interesse per il mio progetto, per cui abbiamo chiuso un bel contratto, anche per tutto il mondo con una licenza esclusiva per diversi anni. Hanno manifestato proprio entusiasmo, e molte persone interne alla struttura ho scoperto essere miei fans, alcuni dei quali hanno studiato sui miei libri didattici. La Universal, quindi, si occuperà di stampa, distribuzione e promozione.
Dicevi della copertina.
Sì, anche lì c’ho ragionato e dopo vari tentativi sono arrivato a concepirla bianca, con questi sbuffetti che riprendono i colori della bandiera italiana in modo che i mercati esteri, tipo Giappone o Sudamerica, siano catturati fin dalla copertina. Una copertina pensata per ‘bucare’. Poi se ci riuscirò o meno si vedrà.
Insomma, vedo che hai profuso il massimo delle tue energie per realizzare il tuo disco al meglio, in tutte le sue sfaccettature.
Per dare un senso alla propria vita e anche alle cose che uno fa. Conta che ho finito il disco da più di un mese, ma io vengo qui nel mio studio/ufficio a mandare mail, coordinare uffici stampa, fissare date di concerti, interviste, presenze in radio, in televisione, insomma curare tutti gli aspetti promozionali senza i quali ‘sta ‘piantina’ qui muore.
Quando uscirà il disco?
Il 24 febbraio. Il 18 marzo ci sarà la presentazione alla Casa del Jazz qui a Roma, al Blue Note a Milano la settimana dopo, e poi a Torino e in giro per le librerie della Feltrinelli.
Fabio, facciamo un salto indietro. Leggo sulle note di copertina che il disco è stato arrangiato da te e da Giorgio Rosciglione, storico contrabbassista italiano. Come si è svolto il vostro lavoro?
Molto semplicemente, di alcuni pezzi se n’è occupato lui, di altri io. Poi siamo venuti qui in sala, li abbiamo suonati e nel riascoltare il materiale registrato abbiamo cominciato ad individuare tutti quegli aspetti da migliorare, dal cambiare un accordo, al fare un anticipo, al cambiare il contrabbasso con il basso elettrico, al suonare un tipo di chitarra diverso. Lentamente questo procedere ha preso la forma di discussione a quattro – con Tiziana De Carolis e Luca Ingletti, il batterista – dove tutto partiva da un canovaccio che avevo scritto io o che aveva scritto Giorgio.
Puoi fare qualche esempio di pezzi curati da te e di pezzi curati da Giorgio?
“Tu si na cosa grande” è partito da me. “Mi sono innamorato di te”, invece, non riuscivo a manipolarlo a livello armonico, per cui gli accordi li ha scritti Giorgio. I suoni, le chitarre, le voci li ho curati io. Questo è proprio l’esempio classico di un lavoro a quattro mani ben equilibrato.
“Ma l’amore no” è tutto un intervento di scrittura di Giorgio compresa l’introduzione, dove poi sono intervenuto io col mio modo di suonare.
Chi ha scelto il pezzo che canta Renzo Arbore?
Lo ha scelto Renzo stesso. E lo ha scelto per il suo titolo, che ci aveva indicato come “Che ritmo”. Successivamente abbiamo scoperto che non era questo il titolo originale. La cosa è uscita fuori col fatto che la Universal non riusciva a trovare negli archivi SIAE, né da nessun’altra parte, gli aventi diritto di questo brano. Alla fine, dopo ricerche accurate del loro ufficio publishing, sono venuti a capo del mistero: il pezzo fu registrato nel 1943 ma depositato nel 1956. Al momento dell’uscita con la Fonit Cetra aveva il titolo “Che ritmo”, ma tredici anni dopo fu depositato in SIAE col titolo “Ritmo, senti che ritmo” con autori Natalino Otto, che lo incise, e Ottavio De Santis. Le edizioni Fonit Cetra, inizialmente proprietarie dei diritti del pezzo, quindi ERI, sono state vendute successivamente alla CAM. La quale CAM è stata assorbita dalla Sugar di Caterina Caselli. Quindi oggi l’editore di tutto il catalogo di Natalino Otto è la Caselli. Il pezzo in questione non è uno dei pezzi principali di Natalino Otto, ma a Renzo piaceva il titolo per via che per lui il ritmo, lo swing in questo caso, è tutto nella musica.
Fra l’altro in tutto questo, io e gli altri musicisti non conoscevamo il pezzo, per cui l’abbiamo tirato giù ascoltando l’originale e anche le stesse indicazioni di Renzo. Questa l’ho suonata interamente con la Takamine acustica, sia accompagnamento che fraseggio.
In particolare, tre o quattro giorni prima che venisse Renzo ci siamo messi, Giorgio e io, a realizzare l’arrangiamento, ma lasciando vuote tutte le battute dedicate ai soli strumentali. Renzo, infatti, ci aveva chiesto di poter fare forse un assolo di piano. Invece, alla fine dopo aver cantato ha detto di completare noi gli assoli. Ma il mio intento era che volevo lasciarlo libero di fare quello che voleva. A quel punto ho suonato io gli assoli, tenendo presente il fatto di rispettare lo stile di un brano scritto e realizzato negli anni Quaranta, pur rimanendo fedele al mio linguaggio. Ovviamente anche il suono, se hai notato, è meno ‘pieno d’aria’ degli altri pezzi del disco. Questo è più asciutto, più coerente, ripeto, con le sonorità dell’epoca. Il pezzo è molto radiofonico. La Universal pensa di utilizzarlo così, come traino per tutto il CD.
Fabio, dopo aver detto tanto nelle vesti di arrangiatore e musicista, ti faccio una domanda da un punto di vista inedito: quali sono i pezzi che ti piacciono di più da semplice ascoltatore?
Mi piacciono tutti. Certamente “Mi sono innamorato di te” penso che sia il più pop di tutti, quello che potrebbe avere un audience maggiore. Non a caso gireremo il video di cui parlavo prima proprio con questo pezzo.
A livello strumentale, il brano che provo molto piacere ad ascoltare è “Nun è peccato”, ma anche “Estate” con questo riferimento ritmico alla bossanova. Per finire, il pezzo di chiusura che poi è una reprise, quella di “Io che amo solo te” presente nel disco. Questa versione, un po’ alla James Taylor, mi dà un senso di piacevole languore, come se fosse la porta aperta per il prossimo disco! Il pezzo finisce su un accordo di dominante. L’accordo di dominante è tensione, non chiude, rimane aperto. Ecco che tutto torna.
Grazie della chiacchierata, Fabio, e in bocca al lupo per il disco.
Grazie a te e viva il lupo!
Gabriele Longo