Menaggio 2016
Incontriamo il duo delle Ginger Bender all’indomani della loro acclamatissima esibizione al Festival di Chitarra di Menaggio. La loro musica è al crocevia tra jazz tradizionale, swing e blues, con ‘profumi’ che attingono al mondo latino e gitano.
Ci raccontate brevemente com’è nato il vostro duo?
Alessandra Di Toma: Eravamo compagne di corso ai Civici Corsi di Jazz di Milano. Ci siamo dette, boh, proviamo a suonare insieme visto che abbiamo gusti musicali quasi identici, ci piacciono le stesse cose, anche quelle del passato. E ci siamo subito trovate bene umanamente, che forse è la cosa più importante.
Jeanne Hadley: Sì, è stata una cosa particolare, perché in realtà la nostra amicizia si è sviluppata proprio suonando. Prima non ci conoscevamo proprio. Eravamo semplicemente compagne di corso da appena un anno. Adesso il nostro rapporto è diventato molto intenso a forza di suonare, facendo spesso viaggi insieme per raggiungere i luoghi dei concerti. Un’esperienza unica. Sicuramente è grazie alla musica che ci siamo scoperte affini umanamente.
In effetti quello che ho notato ascoltandovi ieri è che avete un’ottima preparazione tecnica, ciascuna di voi dimostra di possedere una buona padronanza sul proprio strumento, la chitarra elettrica, una bella presenza sul palco, una grande intesa tra di voi e soprattutto buone idee a livello di arrangiamento. Detto tutto ciò, ho avvertito che ci sta dell’anima in ciò che fate.
AdT: Sì, grazie per quello che dici, ce lo godiamo tutto!
JH: Sì, è una cosa che ci viene detta spesso ultimamente. Sai, ormai sono quattro anni che suoniamo insieme.
AdT: La percezione che il pubblico ha di noi è cambiata molto. I primi tempi era ben diverso, faticavamo parecchio.
JH: Abbiamo fatto molta palestra suonando molto in giro, anche come artiste di strada. La prima esperienza in questo senso l’abbiamo fatta in Spagna. Ci ha aiutato molto a farci le ossa.
Ieri ho notato che quasi subito siete riuscite a catturare il pubblico, che alla fine non voleva più lasciarvi andare via!
JH: Sì, questo avviene da quando suono con Alessandra. Sono tranquilla. In precedenza suonavo in pubblico da sola. Questo mi faceva stare male. L’ansia da prestazione mi tirava brutti scherzi.
Devo dire che l’approccio di Alessandra è quel tanto di autoironico, rilassato, simpaticamente distaccato che infonde serenità, sicurezza e anche grinta. Ginger Bender, come concepite i vostri arrangiamenti?
AdT: Li creiamo insieme. Sai, poiché siamo solo in due, proviamo a pensarci come una piccola orchestra. Fino a un anno fa utilizzavamo elettronica, pedali. Adesso ci stiamo più orientando su una ricerca di suono. Per esempio, nel concerto di ieri abbiamo utilizzato solo le loop station e l’octaver, che mi consente di fare il basso sulla chitarra. Cerchiamo sempre di bilanciarci, perché vogliamo essere soliste e accompagnatrici tutte e due. Per questo ci scambiamo spesso i ruoli, anche nell’ambito di uno stesso pezzo. Utilizziamo anche il computer. Stiamo esplorando il programma Ableton Live, ma sempre tenendo presente il concetto di suonare realmente, non facendo partire ‘play’.
Insomma, quello che si dice un uso intelligente dell’elettronica. I risultati che avete raggiunto ieri sul palco vanno proprio in questa direzione.
JH: Sai, l’elettronica ti può far sentire ingabbiato nelle strutture rigide che essa t’impone. Ma alcune volte rappresenta un esercizio di disciplina a cui ti devi sottoporre. Devi fare quelle cose lì in quel certo tempo. Sai, i chitarristi sono spesso ‘sbrodoloni’!
Voi suonate solo chitarre elettriche?
JH: Tutte e due abbiamo studiato chitarra classica. Io l’ho studiata per dieci anni. Adesso l’ho un po’ abbandonata. Però ogni volta che la sento suonata bene, come in questo festival, mi viene la voglia di riprenderla. È che mi sono così impegnata e abituata ad usare il plettro da diversi anni, che ‘switchare’ dal plettro alle dita e viceversa non è così semplice. In conclusione, sono molto concentrata sull’elettrica…
E la chitarra acustica?
JH: L’acustica l’ho sempre trascurata.
AdT: All’inizio io non me la potevo permettere. Per anni sono andata avanti con la mia chitarra classica, ho frequentato le medie sperimentali a indirizzo musicale. Poi ho continuato studiando da sola. Mi piaceva il country blues. In realtà, quindi, io il plettro non lo uso tantissimo, nemmeno quando studiavo jazz.
JH: Sai, non ho mai avuto a che fare con l’acustica. Ma riconosco che è molto intrigante, ha tutto un suo mondo. In realtà vorrei poter suonare tutti gli strumenti a corda. Ogni volta che vedo un mandolino, un cavaquiño, mi dico: «No, basta, devo mollare la chitarra e suonare questo!»
Riguardo al repertorio di brani swing rétro che proponete, lo considerate una palestra per la vostra ricerca o rappresenta l’habitat in cui avete deciso di esprimervi stabilmente?
AdT: Guarda, per ora affrontiamo qualche pezzo nostro, ma soprattutto molte cover che provengono dal jazz prima del bebop, anni ’30-’40 per intenderci, di cui ci piacciono molto le armonie. L’obiettivo è quello di proporre pezzi nostri, in cui prendiamo le armonie ispirate al mondo dell’era swing, cantandoli anche in italiano con un arrangiamento moderno, tipo il pezzo che abbiamo eseguito ieri in concerto ispirato al reggae.
JH: Io non so dove andrò a parare nel mio percorso personale. Quello che mi piacerebbe è poter creare per il duo Ginger Bender un sound, uno stile tutto nostro. Insomma, fare la nostra musica senza appiccicarci un’etichetta. E vorrei cimentarmi con la scrittura dei testi, cosa che ho già cominciato a fare.
In inglese o in italiano?
JH: Tutt’e due, essendo io bilingue. Certo mi viene più naturale in inglese.
Anche perché il vostro ambito stilistico favorisce quel tipo di metrica.
JH: Sì, certo. Con l’italiano ancora non sono sempre soddisfatta dei risultati. Però vorrei tendere a mischiare le due cose, così come mi accade nella vita di tutti i giorni, in cui la mia testa pensa contemporaneamente in inglese e in italiano senza barriere.
Quali musicisti/e o chitarristi/e considerate nei vostri ascolti?
AdT: Per quanto riguarda i chitarristi, il grande Django Reinhardt e Wes Montgomery. Di donne chitarriste Emily Render, una grande jazzista. Nel canto Billie Holiday, Ella Fitzgerald. Poi ascolto il reggae, il funky, James Brown. Tra gli italiani Mina, che è un classico.
JH: Ammetto, anche sbagliando, che non seguo la scena musicale italiana. Ascolto molto la musica strumentale. Aldilà che ora io voglia mettermi a scrivere i testi, devo dire che faccio parte di quella schiera di musicisti che si concentrano molto sulla musica, anche nei brani col testo. Comunque, in generale mi sento di dire, anche a nome di Alessandra, che ci sentiamo musiciste libere e curiose di sperimentare, cosa che ci potrà anche portare a fare esperienze diverse l’una dall’altra, con la voglia sempre di divertirci grazie all’energia che sapremo produrre soprattutto nella dimensione dal vivo.
Grazie Ginger Bender e in bocca al lupo!
(g.l.)