Forse la strada è stata lunga e tortuosa, ma l’obbiettivo era chiaro da sempre per Gabor Lesko.
Con Sweet Winged Fingers, suo quinto disco, il chitarrista italoungherese ci presenta per la prima volta una produzione interamente in fingerstyle. Sì, perché si tratta di un passaggio importante della sua carriera, in cui mostra un aspetto del suo stile ispirato certamente da Chet Atkins, Jerry Reed e Michael Hedges, ma anche da Steve Vai e Frank Gambale, il tutto però suonato rigorosamente fingerstyle.
Se in passato aveva fatto uso di sovraincisioni e orchestrazioni con l’ausilio anche di strumentazioni elettroniche, qui Gabor si presenta in gran spolvero con un chitarrismo esuberante, tecnico quanto basta, ispirato e soprattutto con la sola chitarra che esegue tutte le parti come in una performance live. Alcuni passaggi in sweep sono fatti con l’indice (così come spiega lui stesso nelle note a commento della title-track), qualcosa di nuovo che ben si integra nella trama sonora che sviluppa lungo le dieci tracce del CD. Tracce che spaziano tra ricerca tecnica (la citata “Sweet Winged Fingers” e “Little Waterfalls”), sonora (“Watamu”, ispirata ai viaggi africani), ritmica (“Indemoniato e sereno”, con inserimenti percussivi, tapping e flamenco), armonica (“Rays of Light”, impreziosita da elementi impressionistici). Tre ghost tracks cantate dallo stesso chitarrista evidenziano una via inedita e interessante.
Un Gabor Lesko che coniuga in una sintesi equilibrata i due lati del suo fare musica, da un lato l’irruente e generosa espressività dello strumentista talentuoso, dall’altro la delicata e intima esigenza di manifestare una tendenza poetica dai toni più sommessi.
Gabriele Longo