(di Giorgio Gregori) – Mentre stavo provando una delle belle chitarre di Max Monterosso, è arrivata allo stand una ragazzina sui 12 anni accompagnata dalla piccola sorellina, e indicando i vari pezzi di legno sul tavolo le ha detto: ”vedi, per fare una chitarra si parte da qui”.
C’era una volta un pezzo di legno”… così iniziava Pinocchio, e in effetti l’Acoustic Guitar Meeting di Sarzana è un immenso Paese dei Balocchi per grandi e piccini.
Quest’anno i corsi di liuteria avevano come protagonisti i simpaticissimi Linda Manzer, canadese famosa per avere costruito almeno una trentina di chitarre per Pat Metheny, tra cui la Pikasso, e Dick Boak, direttore del museo, archivi e progetti speciali della Martin Guitar Company.
Tre giornate intense, per togliersi molte curiosità ed entrare nella storia della costruzione delle chitarre acustiche. E come ogni anno, da chitarrista partecipo a questi corsi, non tanto perché voglio cimentarmi nella costruzione di strumenti, ma perché mi piace vedere da vicino come sono costruiti questi nostri ‘giocattoli’, apprezzare il lavoro dei liutai e , perché no, imparare anche un po’ di trucchi per migliorare da me il settaggio e le performance dei miei strumenti, capire che scelte fare per acquistarne di nuovi e sapere spiegare le mie esigenze ai liutai.
Linda Manzer era accompagnata dalla sua amica e allieva Peggy White, che esponeva un paio di piccole e bellissime chitarre. I workshops erano gestiti in collaborazione con Max Monterosso, al quale va l’applauso di tutti per le competenti ed efficaci traduzioni dall’inglese.
Linda aveva portato con sé la chitarra #19 sulle 30 costruite della “signature 6”, copia della acustica realizzata per Pat Metheny nel 1982, ma arricchita (in tutti i sensi) con dei bellissimi intarsi e altre migliorie. Un gioiellino da più o meno 32.000 dollari, che non mi sono lasciato sfuggire la possibilità di provare in due giornate diverse (ora o mai più…!). Bella, bellissima, comodissima. Suono chiaro e definito, niente bassi potentissimi, d’altronde la cassa è costruita con una forma trapeziodale, più stretta dove si appoggia il braccio, più larga dove si appoggia la gamba. Per avere un’idea del suono, cercare “Lonely Woman”, dall’album “Rejoicing” di Pat del 1984. Ai bassi ci pensava Charlie Haden…
Nel corso della prima giornata Linda ha parlato della sua storia di liutaio, dei suoi maestri e ispiratori, a partire da Jean Larrivée e Jimmy d’Acquisto. Si è interessata al lavoro di Richard Schneider, che ha collaborato con il fisico Michael Kasha. Da Abraham Wechter ha preso le idee per i pannelli di ispezione e ha seguito gli studi dell’ingegnere della Boeing, Evan Davis, sulla risposta acustica alle medie alte frequenze. Linda ha reso un doveroso omaggio a una dei liutai più importanti della storia, Carleen Hutchins.
Nella seconda giornata Linda ha parlato delle tecniche di intarsio. Si tenga conto che per le decorazioni, avendo frequentato anche due scuole d’arte, usa tecniche miste, come ad esempio l’acquarello, e vari materiali: metallo, legni di colori diversi, pitture fosforescenti, pietre colorate. Come sostituto dell’avorio usa noce di tagua. Per la madreperla utilizza vari tipi di abalone, mischiando pezzi colorati a pezzi di abalone ‘nero’ che si illumina a seconda di come la chitarra è esposta alla luce. In effetti segue quanto dice William Laskin: “la chitarra è una tela”. Linda ha dato anche una piccola dimostrazione con Dremel e seghetto su come scava la paletta per introdurre uno dei pezzettini della “signature 6”.
L’ultimo giorno è stato dedicato alle chitarre più strane e al rapporto con i committenti. Per chi volesse farsi un’idea, Linda ha presentato la Pikasso, suonata da Pat, con video disponibile su youtube. Seguito da ultro video interessante, sempre sullo stesso canale, in cui Linda descrive la Medusa, chitarra a tre manici (uno fretless, uno baritono fanfret, l’altro scallopped e con ponte parzialmente a effetto sitar/veena e con corde di simpatia); dopo l’intervista la “Medusa” viene suonata dal proprietario committente Henrik Andersen.
Durante il corso, Linda ha risposto a varie curiosità tecniche relative alla costruzione di questri ‘mostri’.
Infine, un esame dei suoi criteri per scegliere le tavole armoniche grezze dal produttore di legname: guardandole, accarezzandole, flettendole, picchiettandole. La tavola, a seconda di come si flette, oltre a dare un suono diverso dà una sensazione particolare di ‘comodità e facilità’ nel suonare lo strumento.
I corsisti hanno esaminato una decina di tavole dando loro una valutazione. Inutile dire che i responsi sono stati molto diversi, e la stessa Linda ha commentato: “può darsi che una tavola che oggi metto da parte in magazzino, tra una decina d’anni mi piaccia moltissimo”.
Per saperne di più su Linda, il rimando è sicuramente al suo sito www.manzer.com, ricco di fotografie . Per chi conosce molto bene l’inglese, segnalo https://www.youtube.com/watch?v=lIOAn55nMVU una intervista a Linda del 2010.
Dick Boak, pittore, musicista, direttore del museo, archivi e progetti speciali della Martin Guitar Company ha l’aria simpatica di chi ha vissuto molto intensamente e allegramente gli anni del flower power.
Sul suo tavolo in mostra – e in attesa di essere acquistati – una serie di bei volumi sulla storia della Martin e della chitarra negli USA. La prima giornata ha avuto come tema “i molti elementi e le variabili del tono”, esplorando i tipi di legno usati nelle varie parti della chitarra. Si tenga conto che, col passare del tempo, la disponibilità dei legni e materiali pregiati (palissandro brasiliano, ebano, cocobolo, koa, avorio, madreperla) è diminuita a causa della deforestazione e del bracconaggio, molti legni ora sono protetti e quindi i liutai, e in particolar modo le grandi aziende come la Martin che hanno grandi necessità di materie prime, sono costantemente alla ricerca di materiali alternativi.
L’arte della liuteria sta anche nell’accoppiare i vari legni in modo da soddisfare sia la qualità del suono che l’estetica dello strumento. Tutto è possibile, è il committente che sceglie, ma è compito del liutaio fargli presente che certe soluzioni possono penalizzare il suono. Ad esempio, a Dick non piacciono granchè i top in koa o in mogano. Se poi si volesse dare un ‘sapore’ alla combinazione dei legni, c’è stato un esperiemento con Maurice Jauber, al quale è stato fatto provare lo stesso modello di chitarra con legni diversi, chiedendogli di paragonarli a dei vini. Così li ha definiti: mogano: chardonnay, palissandro indiano: merlot, palissandro brasiliano: cabernet, palissandro madagascar: malbec, acero fiammato: vodka, koa hawaii: champagne. Mah!….
Il secondo giorno è stato dedicato ad un tour virtuale nella fabbrica Martin, commentando le varie fasi della produzione, dallo stoccaggio dei legni e al loro taglio che evita possibili sprechi, alle moltissime macchine che vengono utilizzate. Ovviamente, molto lavoro è fatto anche a mano, in particolare nel custom shop. I liutai, nel corso dei secoli, hanno continuamente inventato nuovi attrezzi e macchine per realizzare gli strumenti nel modo più veloce, comodo e perfetto. Ad esempio, anche alla Martin nella fase finale i tasti vengono livellati con la macchina Plek, prima delle ispezioni finali. E sei lavoratori sono addetti specificatamente alla ricerca di nuovi attrezzi.
La Martin produce circa 300 chitarre al giorno, il ciclo completo di produzione per ogni chitarra è di 2-3 mesi.
Un reparto speciale si dedica alla manutenzione e restauro: fare il reset di un manico incollato dovetail (coda di rondine) , rimettere in sesto una chitarra essiccata dal riscaldamento invernale e con la tavola crepata, reidratandola…
Il sito della Martin www.martinguitar.com è ricchissimo, si può scaricare anche un giornale semestrale e tutti gli arretrati.
Per chi volesse seguire un tour di 25 minuti in compagnia di Dick nella fabbrica di Nazareth : https://www.youtube.com/watch?v=LTOM5WfOC-k
Dick ha anche registrato un simpatico CD per voce, autoharp e… ovviamente chitarre Martin dal titolo “Beside you”.
Ma gli incontri con i liutai, all’Acoustic Guitar Meeting di Sarzana, non si sono limitati agli impegnativi workshops.
Nella saletta conferenze della torre sono stati presenti, illustrando alcuni aspetti del loro lavoro Andy Powers (Taylor Guitars), Roberto Fontanot (per Heart Music), Bill Collings (Collings Guitars), Scott Fore (Bourgeois Guitars), David Ausdhal e Alastair Simpson (Lowden Guitars). Purtoppo non sono potuti venire per problemi gravi dell’ultima ora sia Richard Hoover (Santa Cruz) che Martin Seeliger (Lakewood).
Speriamo di incontrare qualcuno dei sopracitati in workshop approfonditi nelle prossime edizioni.
Un ringraziamento di cuore va ad Alessio Ambrosi, per la scelta dei relatori e l’organizzazione generale del festival. L’appuntamento è senz’altro per Sarzana 2016.
Giorgio Gregori