Ci sono dei CD che per varie ragioni rimangono nel tuo lettore per tempo indefinito. Giorni o talune volte mesi. Vorresti rimuoverli, rimetterli nella loro custodia, ma ogni volta che accenni il gesto ti invade il desiderio di riascoltarli. Così finisce che dimentichi l’atto e fino alla prossima nuova folgorante passione rimangono incontrastati protagonisti delle tue giornate musicali. Li ascolti nelle pause di lavoro, oppure mentre leggi un libro o quando scrivi qualcosa sul tuo computer e hai bisogno di una colona sonora ‘ispiratrice’. Avere per casa Crossover di Davide Sgorlon è un po’ un problema: non sei mai stanco delle sue note e, sull’orlo dell’ultimo pezzo, spingi il tasto replay per ripetere l’ascolto. Questo rallenta e inibisce ogni altro desiderio musicale.
Sin dal primo brano qualcosa ti cattura: ti fermi interessato allo sviluppo armonico, attratto dalla accattivante modalità espressiva del dialogo. Così prosegui traccia dopo traccia, all’inizio incuriosito, poi affascinato. Dopo qualche giro impari il percorso e allora aspetti con ansia ogni evento, come per esempio che arrivi il pezzo che dà il titolo a tutto il lavoro, per godere ancora una volte dell’impeto compositivo di questo autore. E dire che “Crossover” non è tra i brani più facili, lo devi ascoltare qualche volta prima di venire ammaliato dalla sua crescita.
Di tutto il lavoro ti colpisce sopratutto il suono e l’atmosfera, tappeti di note che ripetono i loro ‘mantra’ nascosti tra suoni urbani e prepotenti, ma intimi e coinvolgenti. Un’esperienza mistica che ridà alla chitarra una dimensione corale, sovrapponendo cuore e tecnica in un equilibrato miscuglio di emozioni.
Non mancano le ‘ingenuità’, che per fortuna evitano al CD di essere giudicato perfetto e permettono al nostro chitarrista di trovare spazio per una crescita verso una maturità che non è poi così distante. Forse qualche ‘virtuosismo” in meno avrebbe lasciato il suono e le sue vibrazioni quale unico filo conduttore di un percorso meditato e tormentato.
Le sonorità sono il cuore portante di ogni traccia, si sviluppano con disarmante semplicità, ma complete di ogni elemento necessario per evitare che si possa pensare di aggiungere qualcos’altro. Pensavo fosse stato registrato in ‘templi’ del suono irraggiungibili, mentre il lavoro è soprattutto ‘casalingo’ e questo aggiunge interesse e curiosità alla densità di ogni traccia. Ci si abitua così tanto all’insieme dei suoni, che quando la chitarra rimane sola a esprimere il suo “Slow Funky”, sembra che dietro sia rimasta un’intera orchestra a rimarcare ogni nota e a colorare di mille sfumature il ‘rumore’ di ogni emozione. Un CD da ascoltare con un bicchiere di Porto in mano.
Reno Brandoni